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Concorso scuola, ansie (tante) e speranze (poche) dei docenti toscani

Elia, Francesca, Chiara e Sara hanno inviato domanda per partecipare al “concorsone” 2020 che ha messo a bando 78 mila cattedre tra scuole dell’ infanzia, primaria e scuole secondarie. In Toscana presentate 40 mila istanze

La vedo come la prova della vita ma mi dico anche che un concorso non basta per giudicare la capacità, la mia capacità, di essere o no una brava insegnante”. Chiara è una degli oltre 21 mila toscani che hanno presentato domanda per essere ammessi al concorso ordinario per la scuola secondaria di primo e secondo grado. 

In pieno lockdown, mentre studenti e professori erano alle prese con le lezioni online e si interrogavano sulla fattibilità a meno degli esami di maturità, il decreto legge n.22 del 8 aprile 2020, (poi convertito in legge il 6 giugno per l’esattezza) ha messo nero su bianco che il “concorsone si farà: sul suolo nazionale sono stati messi a bando 78 mila posti fra infanzia, primaria e scuole secondarie. Il 31 luglio scorso chiudevano i termini per l’iscrizione, al Miur sono arrivate oltre 500 mila domande di partecipazione: 76 mila per il concorso ordinario di infanzia e primaria, più di 430 mila per la secondaria di I e II grado (dati Miur).

Sono stati messi a bando 78 mila posti tra infanzia, primaria e scuole secondarie. 500 mila le domande di partecipazione al concorsone, quasi 40 mila le istanze presentate per la Toscana

Ansie, timori, aspettative e speranze

La passione per l’insegnamento e l’attenzione ai ragazzi prima di tutto.

Questo l’identikit che emerge dalle nostre interviste ai partecipanti (alcuni docenti da tempo, altri con il sogno dell’insegnamento) che hanno presentato domanda.
Quando si terrà? Le date delle prove non sono ancora state rese note. E questo non aiuta, anzi accentua le incertezze. Incertezze sulla prova stessa, modificata rispetto al passato (mandate in pensione le crocette, sono previste prove a risposte aperta e diversificate per classe di concorso), incertezze sull’utilità e gli esiti del concorso stesso. Che possa essere un trampolino per la stabilizzazione lo credono in pochi.

Il Concorso? Si ma per l’abilitazione

Chiara insegna in un istituto privato di Prato da cinque anni, a settembre tornerà in cattedra da precaria con i suoi studenti. È un lavoro che ama, scoperto un po’ per caso iniziando con le ripetizioni come accade per molti. Non aveva ipotizzato una carriera da insegnante quando studiava tra i banchi della facoltà di Lettere all’Università di Firenze poi però la vita scombina le carte e oggi è entusiasta e appassionata del suo lavoro da professoressa di italiano, latino, storia e geografia. Chiara è ora alle prese con la preparazione per le prove del concorso, vorrebbe arrivarci pronta e preparata, forse più per lei stessa, per la sua coscienza e per il rispetto che nutre verso il mondo dell’istruzione: “Alla stabilizzazione non ci penso, quella dell’insegnamento è una strada molto tortuosa e mi sento fortunata a poter insegnare ogni anno, anche con contratti da precaria”.

Entrare in graduatoria non significa automaticamente stabilità. Lo sanno bene i tanti colleghi che affollano le graduatorie, magari ex magistrali, che sperano da anni di veder trasformati i loro anni di servizio in abilitazioni o accedere a percorsi abilitanti a loro riservati.

Da tempo c’è una proposta per abilitare chi ha già tre anni di insegnamento alle spalle ma per adesso il concorso è l’unica strada per raggiungere questo passo fondamentale”, racconta Sara, docente con più di tre anni di servizio in una scuola paritaria.

L’unica alternativa è il concorso, con l’abrogazione del tirocinio Formativo Attivo (TFA) e, successivamente, anche della Formazione Iniziale e Tirocinio (FIT), il concorso è l’unico modo per ottenere l’abilitazione all’insegnamento. Ha ragione Chiara: È una strada tortuosa.
Anche Elia, una laurea in Filologia moderna, e varie esperienze in qualità di insegnante di italiano per stranieri, si è iscritto al concorso, sta studiando, e tanto. Ha rispolverato vecchi libri, legge e rilegge i testi su cui insegna, ha acquistato i “manualoni” e i quiz commentati per prepararsi alla preselettiva e allo scritto. E anche lui si è dato un obiettivo che non è la cattedra: “Punto soprattutto ad ottenere l’abilitazione all’insegnamento: questo sarebbe già un bel successo”.

Poca fiducia nel concorso?

Da sempre, purtroppo, il lavoro del docente è legato alla logica del precariato. Ho iniziato a lavorare come insegnante da poco e non credo che si concretizzerà a breve la prospettiva di una cattedra. Ma fin dall’inizio della mia scelta ho accettato, con serenità, questa situazione, che francamente non credo cambierà con un concorso”, aggiunge Elia.

Mi sono iscritta sia al concorso ordinario che a quello straordinario ma non ho particolari aspettative se non quella di continuare ad insegnare” riprende Sara – “Amo il rapporto con i ragazzi ma sono anche consapevole della mia situazione: sono sola con due figli, non potrei accettare di trasferirmi”.

Il concorso del Mit è su base regionale, ma anche cambiare città non è una scelta che si fa a cuor leggero. Dal monitoraggio delle istanze dei partecipanti emerge che il 39% dei candidati che ha fatto domanda per i posti messi a bando nella scuola secondaria di I e II grado ha tra i 31 e i 40 anni ed è la percentuale più numerosa. Il 24% (103.804 candidati) hanno un’età compresa tra i 41 e i 50 anni. Ma sono i numeri della fascia over 50 che scattano bene la fotografia della situazione del personale docente in Italia: oltre nove mila per l’infanzia e la primaria, quasi 27 mila gli over 50 che sperano in una stabilizzazione nelle scuole di gradi superiori.

Sono circa 37 mila gli iscritti over 50 al concorso. Oltre 100 mila hanno un’età compresa tra 41 e 50 anni

Uomini e donne non più di “primo pelo” con proprie vite, con proprie famiglie che a questo mestiere dedicano tutto da anni ma dal quale sono ancora in attesa di rassicurazioni. E non si aspettano di averne quest’anno, in questo anno caratterizzato da una pandemia mondiale, dove il Covid ha colpito, senza infettare direttamente, l’intero mondo della scuola .

Cosa ti aspetti dalla scuola post Covid?

Francesca ha presentato domanda per il concorso ordinario per la scuola secondaria di primo e secondo grado per le scienze motorie, insegna sport da sempre. “Il mio obiettivo? Poter essere un appoggio per i ragazzi, al di là dell’insegnamento della mia materia. Mi piace insegnate ai ragazzi i valori dello sport, e provo a far capire loro che grazie allo sport si può creare gruppo, imparare dagli errori ed essere di sostegno gli uni per gli altri”. Francesca sarebbe pronta a trasferirsi per una stabilità lavorativa ma la situazione attuale la preoccupa e non poco, soprattutto per la materia specifica che insegna: “L’insegnamento post covid è una grande incognita soprattutto nella mia materia dove c’è bisogno di utilizzo delle palestre, di lavorare con i materiali, del contatto fra i ragazzi”.

Come giudichi le proposte e le scelte sul tema scuola fin qui fatte?

È una situazione delicata, fare la metà delle lezioni a casa e l’altra metà a scuola andava bene nel momento dell’emergenza ma non può essere una scelta da perpetuare. L’unica soluzione a mio avviso sarebbe riuscire a trovare altri luoghi da usare per evitare l’affollamento nelle aule senza però inficiare quelle attività didattiche che necessitano di spazi specifici, penso ai laboratori o alle aule di informativa ma anche alle palestre nel mio caso”, risponde Francesca.

Ma la gara ad accaparrarsi gli spazi a disposizione non è l’unico problema.

L’annoso dibattito sui banchi singoli lascia il tempo che trova- aggiunge Elia – Il problema vero è che per anni la scuola è stata il fanalino di coda dell’agenda politica, con tagli sistematici agli investimenti e gravi dimenticanze: ci ritroviamo adesso con pochi docenti, personale insufficiente ed edifici fatiscenti. L’emergenza ha riacceso l’attenzione sul mondo dell’istruzione, ma solo un’azione politica sganciata da qualsiasi demagogia riuscirà a restituirci una scuola veramente degna di questo nome”.

L’edilizia scolastica in Toscana non soffre di particolari deficit: da quanto emerso dall’Ufficio scolastico regionale oltre il 65% degli istituti scolastici non hanno avuto bisogno di interventi in vista della prima campanella. Per il restate 35% sarà sufficiente spostare qualche banco.

Per quanto riguarda la questione dei professori, il concorsone punta proprio a scongiurare problemi di carenza docenti.
Tuttavia, per mettere a pulito un ambito così delicato e così ingarbugliato come quello delle stabilizzazioni forse servirà tempo. Forse servirà fare di più. Una sburocratizzazione e semplificazione dei concorsi, l’individuazione di nuovi percorsi per l’abilitazione e magari un rinnovamento, graduale, dell’intero sistema scolastico.

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