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“Note di lavoro”: otto fotografi alla Fondazione Studio Marangoni raccontano la Toscana

Grazie al contributo di Regione Toscana, Giovanisì e Toscanaincontemporanea otto giovani artisti emergenti hanno potuto partecipare ad un percorso di alta formazione gratuita nella nostra regione

Grazie al contributo di Regione Toscana, Giovanisì e Toscanaincontemporanea otto giovani artisti emergenti hanno potuto partecipare ad un percorso di alta formazione gratuita nella nostra regione.

Il risultato è il progetto espositivo “Note di lavoro. Un’ indagine sul rapporto tra lavoro e territorio” curato dal fotografo Michele Borzoni di TerraProject, che sarà aperto dal 4 novembre al 1° dicembre presso la Fondazione Studio Marangoni.

I giovani fotografi hanno analizzato il rapporto tra essere umano e lavoro e come questo cambia il mondo e la società in cui viviamo: dallo sfruttamento delle risorse del territorio toscano dal Chianti alle Alpi Apuane, dallo spopolamento della cosiddetta Valle del Diavolo, alle infrastrutture autostradali viste come “non luoghi” per eccellenza, fino al mito dei butteri maremmani.

E poi ancora la rigenerazione degli scarti del tessile in beni di alta qualità e gli orafi bengalesi nel territorio aretino.

“Lavoro e territorio sono le due parole chiave che hanno guidato le fotografe e i fotografi che hanno partecipato al workshop L’esperienza del luoghi – afferma il curatore Michele Borzoni. “La mostra Note di lavoro si inserisce in una più ampia iniziativa legata alla memoria di Gabriele Basilico, che dedica tutta la sua carriera di fotografo allo studio del paesaggio e dell’architettura, e alla più complessa relazione tra uomo e spazio.
Tutti questi progetti nascono dall’esigenza di voler dare risalto ad una delle tematiche più cruciali del nostro tempo. Nella storia della fotografia, lavoro e territorio infatti sono stati spesso affrontati ponendo la produzione e la manifattura al centro dell’indagine. Oggi gli autori in mostra presso la galleria della Fondazione Studio Marangoni affrontano i temi del cambiamento nel mondo del lavoro, della memoria e della trasformazione del paesaggio.  Da una parte il cambiamento nei processi produttivi, ma anche il cambiamento delle origini geografiche e culturali dei lavoratori, dall’altra la trasformazione del paesaggio antropizzato e dell’inesauribile riflessione tra la necessità di lavorare e sfruttare un territorio ed al tempo stesso la necessità di tutelarlo. Infine il tema della memoria, del lavoro che non esiste più o che con il tempo si è trasformato ed è diventato altro. La memoria personale di un lavoratore o la memoria di un luogo diventano tema di indagine per la fotografia”. 

Note di lavoro foto di Leonardo Bocci

Gli otto artisti in mostra

In “Tracce” Stéphane Giraudeau racconta lo sfruttamento delle risorse del territorio toscano che porta alla presenza di aziende e siti di produzione che non riescono ad integrarsi facilmente nel paesaggio. Lo mutano, lo tagliano, lo vincolano per sempre. A volte, con queste tracce, si trova un equilibrio, a volte semplicemente ci si abitua, altre volte invece ci si rende conto che siamo arrivati al limite. Cementifici, cave, discariche, miniere e con minor impatto aziende vinicole sono alcuni esempi di come la mano dell’uomo sul territorio crei un cambiamento importante con cui dobbiamo convivere.

Matteo Capone con “From Waste to Good” prova invece a raccontare il processo virtuoso che nel distretto pratese  porta alla trasformazione degli scarti del tessile in beni di alta qualità. Da decenni le ditte raccolgono e selezionano balle di stracci (il 50% si riutilizza, una parte si ricicla e il 3% va in discarica) che, dopo una serie di processi manuali e meccanici, vengono rigenerati.

Per raccontare il rapporto che c’è tra le Alpi Apuane e la provincia di Massa-Carrara Luca Gasparro ha utilizzato il pensiero di uno scultore che vive in quei luoghi, ma che non esiste. In “Dentro la montagna, dentro sé” attraverso un espediente narrativo ha indagato come l’Uomo, nel sistema di vita di oggi, trasformi da sopravvivenza a sfruttamento i motivi di lavoro e legame con un territorio. Pensando a una persona che non opera al solo fine del guadagno, ha delineato l’immagine di uno scultore che vive il lavoro con il marmo sia come urgenza creativa sia come fonte di turbamento, come se l’escavazione della montagna si specchiasse dentro il sé.

La rete autostradale italiana è il non luogo più grande della nazione, un infrastruttura che permette a migliaia di persone di spostarsi ma anche di lavorare, stazionando in ambienti spesso non convenzionali. Affascinato da questo vasto ecosistema, Leonardo Bocci esplora il rapporto tra la componente umana ed il paesaggio, che coesistono in un equilibrio talvolta surreale.

Tra il metallo più prezioso ed il cibo più povero del mondo sembra esserci un divario insormontabile, eppure c’è qualcuno per cui l’oro e il riso rappresentano due elementi inseparabili. I cittadini bengalesi che circa quarant’anni fa si sono insediati nel territorio aretino lo sanno bene, e per alcuni di loro l’esperienza maturata è stata l’origine di un’attività imprenditoriale nel settore orafo. Con “Gold & Rice” Francesco Andreoli racconta come le nuove generazioni hanno imparato a vivere nel contrasto di questi due elementi: le mani con cui lucidano e saldano preziosi sono le stesse che, tingendosi di giallo, gli permettono di cibarsi del loro piatto popolare.

Nell’alta Val di Cecina in Toscana, detta Valle del Diavolo a causa dei suoi soffioni, viene prodotta l’8% dell’energia geotermica mondiale. A Larderello è nata la prima centrale geotermica al mondo e il paese rappresenta uno dei primi esperimenti di villaggio operaio italiani. Pensato non solo come un dormitorio, negli anni 60, grazia al progetto dell’architetto Giovanni Michelucci, il paese aveva servizi che allora si potevano trovare solo nelle grandi città: piscina geotermica, cinema, scuole e campi sportivi. Ad oggi, a causa delle scarse opportunità lavorative e della mancanza di infrastrutture adeguate, Larderello soffre di un lento spopolamento che le amministrazioni locali stanno cercando di combattere. Tutto ciò è documentato da Francesca Spedalieri nella sua ricerca fotografica intitolata “La terra fuma”.

C’è poi “Aucco” di Christian Velcich. Aucco è il termine maremmano che indica l’urlo del buttero per richiamare il bestiame. Il buttero è stato fino a non molto tempo fa una figura insostituibile in Maremma, era il mandriano, l’uomo preposto alla cura degli animali allevati allo stato brado che raggiungeva a dorso dei robusti cavalli autoctoni. Oggi la pratica e i valori del Buttero sono portati avanti da alcune associazioni in maniera folkloristica o seguendo le tradizioni nella piana di Alberese. Decido quindi di documentare il loro mito, l’essenza di un personaggio dall’alone eroico che rappresentava e rappresenta il simbolo di questa terra antica.

Infine “A PLACE TO CALL C.A.S.A.” di Martina Morini. Quando nel  1947 la C.A.S.A. (Cementeria Apuana Societá Anonima) riapre i battenti a Carrara, sono gli anni della ricostruzione, e del “miracolo economico”. La nascita della classe operaia, la prosperità, i vantaggi abitativi, le garanzie del lavoro tramandato di padre in figlio non lasciano presagire la parabola discendente che comincerà nel giro di qualche decennio. Il 10 dicembre 2008 dopo anni di progressiva riduzione del personale, la cementeria chiuderà ufficialmente mettendo un punto alla sua storia operaia e aziendale non senza lasciare tracce sul territorio e sulla vita di chi vi ha lavorato per tre generazioni.

Note di lavoro foto di Francesco Andreoli

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