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La musica reagisce al Covid: The Zen Circus pubblicano “L’ultima casa accogliente”

Intervista a UFO che ci racconta l’ultima “fatica” della band livornese, un disco scritto prima del Covid ma a cui hanno lavorato tutti insieme proprio durante la pandemia

The Zen Circus - © Ilaria Magliocchetti

Sono tornati gli Zen Circus! E hanno deciso di farlo in un periodo davvero nero per la musica in cui non si può suonare dal vivo e non si sa quando sarà possibile farlo. Un vero e proprio “regalo” per tutti i loro fan. Il titolo del loro nuovo disco è “L’ultima casa accogliente” e esce a due anni di distanza dal grande successo di “Il fuoco in una stanza” e dopo la raccolta che ha celebrato nel 2019 i primi 20 anni di attività della band livornese: “VIVI SI MUORE 1999-2019”. La buona notizia è che Appino, Ufo e Karim Qqru sono in ottima forma e anche se non possiamo uscire possiamo però goderci un nuovo strepitoso disco.

Ecco la nostra intervista a Ufo

Ciao Ufo! Vorrei ringraziarvi per aver scelto di pubblicare il vostro disco in un momento come questo in cui non potete suonarlo dal vivo

Ce lo dicono spesso in questi giorni, noi vediamo il disco come una polaroid di come siamo in questo momento. Quindi aspettare tanto tempo a sviluppare poi anche i rullini vanno a male. Le canzoni invecchiano. Poi è anche giusto pubblicarlo perchè la gente ha bisogno di un segnale. Ci siamo detti: che facciamo rimandiamo? Ma cosa rimandiamo, facciamolo uscire e basta.

I tre pezzi “Appesi alla luna”, “Come se provassi amore” e “Non” ascoltati tutti in fila sono abbastanza devastanti, in senso positivo chiaramente. Ho letto che sono frutto di una lunga analisi che Appino ha fatto grazie a uno psicologo, è così?

Sì esatto. In tutti i nostri dischi c’è parecchi analisi, anche negli aspetti un po’ più guasconi, scanzonati c’è una sorta di allegro fatalismo, alla ricerca di un equilibrio tra il personale e il pubblico. Questo forse è un coronamento di un certo tipo di narrativa. La cosa bella è che quando Appino ci sottopone queste idee difficilmente vengono emendate più di tanto perchè ci sembra che dica qualcosa a tutti noi. Questo è il bello di quello che chiamano l’oggettivazione dell’arte se vogliamo usare un termine un po’ elevato. Quando cioè ascolti una canzone che ti sembra parli di te. Noi risposte non ne abbiamo mai date ma vogliamo porre domande. Se riuscissimo in una canzone a suscitare la domanda giusta avremmo fatto un bel lavoro.

Zen Circus, L’ultima casa accogliente

Come avrete affrontato questo anno di pandemia, voi che siete animali da palcoscenico?

Sto cominciando adesso un po’ a sclerare. La prima parte dell’anno a dire la verità dopo tutto quello che era successo nel 2019 noi ce l’eravamo preso come periodo di pausa. Bene o male eravamo già nell’ottica mentale di non fare date anche perchè dovevamo lavorare al nuovo disco. Avevamo tanto lavoro da fare, eravamo serenissimi. Erano già pronti una decina di pezzi che poi sono diventati otto e costituivano il nucleo centrale del disco. A marzo dovevamo andare a registrare in America a El Paso e bella lì. Poi è successo quello che è successo. Questo in un certo senso ci ha anche aiutati, perchè abbiamo lavorato al disco molto di più, ne è uscito un lavoro molto più ponderato. I problemi sono venuti dopo quando non sapevamo se far uscire il disco oppure no. Tutta la parte delle presentazioni e dei firma copia è saltata.

In un’intervista tu hai detto che il business della musica è un “gigante dai piedi d’argilla”, io penso che la pandemia abbia fatto emergere tutti i problemi che però già c’erano

La pandemia è capitata in un momento che già era di transizione. Si stava affermano questo grosso nuovo competitor che è Spotify rispetto ai canali di musica tradizionali. Il Covid di fatto taglierà le gambe a tantissime realtà intermedie. Io penso ai club o ai festival di media grandezza che vivevano sull’onda dell’entusiasmo. Tutto si basa su una struttura abbastanza fragile. Le compagnie già dal tempo dei Nirvana non sono pronte a capire le cose, ciclicamente si trovano impreparate. I producer di oggi sono ragazzi che lavorano in casa con i loro amici con un equipaggiamento molto light, pensa a Billie Eilish che fa i dischi col fratello. E’ un momento di grandi cambiamenti.

Ho notato soprattutto nell’ultimo anno che i musicisti si sono adattati a Spotify, preferiscono far uscire tanti singoli via via piuttosto che un unico album subito. Mi sembra una cosa così strana che un artista debba piegarsi a un mezzo tecnologico, non dovrebbe essere il contrario?

Io la vedo in un altro modo. Per certi aspetti siamo tornati indietro nel tempo agli anni ’60 e al 45 giri. Pensiamo un attimo a come si veicolava la musica in quegli anni: erano tutti singoli. Paradossalmente questa cosa ultra moderna in realtà ha in sè una fruizione che risale agli anni dei nostri genitori. Un album era una raccolta di singoli. A noi stilisticamente piace di più immaginare un album stile anni ’70, cioè facciata A e facciata B, però esisteva anche l’LP che era una serie di singoli messi insieme, come i primi dischi dei Beatles. Bisogna aspettare Sergent Pepper per vedere un disco che aveva una certa evoluzione. Ma per me non è un problema finchè circola la musica di qualità, il problema è la musica pessima (ride). Io mi sono nutrito di musica ‘a fettine’ cioè delle playlist, ma non sono un nostalgico del passato. Io compro dischi a caso di ieri, di oggi e di domani.

Tra poco ci sarà un altro Festival di Sanremo e proprio in questi giorni pensavo a quando due anni fa vi guardavo sul palco dell’Ariston. Per me è stato stranissimo vedere a Sanremo la musica che ascoltavo io. Per voi com’è stata quell’esperienza?

Ma io ci tornerei anche domani ti dico la verità. Se ci hai fatto il caso il format è cambiato molto, è un po’ più rispondente alla realtà. Non è stata un’idea balorda perchè gli ascoltatori sono rimasti gli stessi ma si sono avvicinati moltissimi giovani. Mio nipote l’ha vista tutta quell’edizione lì, am mica perchè c’ero io, perchè c’erano anche Achille Lauro, Irama. Alla fine della fiera è chiaramente un evento che travalica l’aspetto puramente musicale e sfocia anche nel glamour e nel gossip. Va vista con un occhio un po’ scafato. Ma quando sono arrivato lì e ho trovato Motta, Nada, Brunori, Achille, io mi sono trovato bene, ma bene anche con persone che non avrei mai pensato. Abbiamo fatto amicizia con Nek che si è rivelato un bravo guaglione. Insomma è stato un po’ come andare in Erasmus con degli amici in cui conosci un sacco di gente strana.

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