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© Gianluca Testa

Storie /Le Valli di Zeri

La cooperativa di sole donne che alleva (col cuore) pecore in estinzione

Nelle Valli di Zeri, in Lunigiana, ci sono donne straordinarie che allevano pecore e agnelli di razza zerasca dando vita a una filiera “cortissima”. Combattono contro la fatica, lo spopolamento e i lupi. E alla fine salvano perfino gli animali

È raro incontrare persone che hanno negli occhi quel particolare luccichio. Eppure Cinzia Angiolini è una di quelle. Se le chiedi qual è il suo ruolo, lei ci gira intorno. Non per timidezza, ma per modestia. Come se il mestiere che ha scelto, che poi è anche la sua ragione di vita, non potesse essere declinato o riassunto in un’etichetta. “Difficile a dirsi. Sono un’allevatrice…”. Tutto vero, Cinzia alleva una razza che rischiava l’estinzione e che ora è presidio Slow Food. Ma è anche imprenditrice di se stessa con l’azienda agricola Le Modeste, presidente della cooperativa di comunità Le Valli di Ziri e presidente del Consorzio di valorizzazione e tutela della pecora e dell’agnello zerasco.

Press tour in Lunigiana, pecore zerasche a Zeri – © Gianluca Testa

Quando batte il cuore

L’abbiamo incontrata durante il nostro tour in Lunigiana. Partiti da Pontremoli, dopo un saliscendi di stradine e circa mezz’ora di macchina, eccoci a Piagna. È uno dei tanti paesini del Comune di Zeri, che abbraccia ben tre valli. Passeggiamo nei boschi, facciamo la conoscenza delle pecore zerasche (e dei loro cani da guardiania) e infine veniamo accolti da Cinzia, dalle sue torte d’erbi, dall’agnello cotto nei testi. Mangiamo nello stesso luogo in cui un tempo veniva conservato il fieno, mentre la cucina (non quella nera, coi testi, che si trova all’aperto) è collocata al piano di sotto, nell’ex stalla. “È un lavoro immenso, impegnativo. Chi lo fa, spero lo faccia col cuore. Altrimenti nulla di tutto questo avrebbe senso…” ci confessa Cinzia, che il cuore ce l’ha messo. Eccome se ce l’ha messo.

Press tour in Lunigiana, formaggio Misto di Zeri – © Gianluca Testa

Una comunità al femminile

Al di là della bellezza suggestiva di certi luoghi e della bontà di certe portate, ciò che più ci colpisce è scoprire che la cooperativa è tutta al femminile, così come al femminile sono declinate le piccole e piccolissime aziende agricole che le ruotano attorno. Come quella di Patrizia Figaroli, che a differenza di Cinzia produce un formaggio misto fatto con latte di capra e latte di mucca.

Ebbene, di fronte a quella che una volta era la stalla in cui partorivano le capre, noi consumiamo il nostro pasto, figlio di una filiera cortissima. Qullo che qua si alleva, qua si macella e qua si consuma. A proposito di allevamento, Cinzia Angiolini ha senz’altro il suo bel da fare. Non serve che ci spieghi il perché, bastano i numeri: 124 pecore di razza zerasca, cui si aggiungono 3 piccoli arieti; poi c’è il gruppo con 103 giovani agnelli; infine – si fa per dire – due cavalli bardigiani che si chiamano Asia e Brunetta e, poco più in là, ecco la stalla con gli animali più anziani (68 agnelli e 20 capre) di cui parleremo più avanti. Ah, dimenticavamo una ventina di cani da guardiania. Ma non temete: se arriverete fin quassù, be’, saranno loro a riconoscere voi. E non si faranno certo dimenticare.

Press tour in Lunigiana, Cinzia Angiolini – © Gianluca Testa

Cinzia, hai sempre abitato qua?
“No, sono andata via per poi fare ritorno. Sono partita a quattordici anni, ho studiano lontano da Zeri. Ho una formazione artistica, sono una restauratrice”.

Questa sensibilità trova la sua dimensione anche nella tua vita di oggi?
“Soprattutto oggi, soprattutto qua”.

Come?
Mantenere la propria sensibilità significa non perdersi e restare fedeli a noi stessi. E con questo mestiere, te lo confesso, non è facile”.

Perché?
“Si lavora con gli animali. È difficile accettare di perderli, è difficile allevarli bene, è difficile riuscire sempre a salvarli”.

Quando hai scelto di tornare?
“Quando ho avuto problemi di salute a causa dell’uso continuo dei solventi da restauro. Feci ritorno qua ed entrai nel Comitato di valorizzazione della razza zerasca. Poi ho fatto in modo che potesse essere costituito il Consorzio”.

La tua è una storia di famiglia?
“I miei genitori sono sempre stati qua, mio padre era allevatore. Purtroppo l’ho perso lo scorso anno. Aveva una straordinaria preparazione, era di grande aiuto. Purtroppo non è riuscito a trasmettermi la capacità di selezionare”.

Press tour in Lunigiana, cottura dei testi – © Gianluca Testa

Ti riferisci alla decisione di macellare un animale?
“Intendo dire che lui capiva fin dove ci si doveva spingere, anche dove il cuore non doveva toccare. Ma anche in quella cosa, per me, prevale la sensibilità artistica. Spesso cerco di salvare anche animale insalvabili“.

Con quali conseguenze?
“Il numero degli animali sale, e con il numero aumentano impegni e responsabilità. Ho circa trecento animali, mentre mio padre non ne ha mai avuti più un centinaio. Un anno ho allevato addirittura novanta agnelli. Sono davvero tanti. Sento la necessità di salvare questa razza, che ritengo straordinaria”.

Ci hai raccontato di quando da bambina t’inseguì un montone nero…
“Quell’episodio mi ricorda le origini di questi animali e di un mondo che è andato quasi del tutto perso”.

Com’era quel mondo?
“Era fatto di persone che da sole erano in grado di capire cosa gli serviva. Mio padre ad esempio aveva incrociato la zerasca con la massese. Era uno dei pochi allevatori a cui piaceva mungere, e con mia madre mungeva fino a sessanta pecore al giorno. Entravano in stalla alle cinque del mattino e tornavano a casa alle nove. Ha fatto anche altro, in vita sua, ma non voleva lascar andare questo piccolo grande tesoro: le pecore”.

Press tour in Lunigiana, Cinzia Angiolini – © Mariachiara Pozzana

Oggi quante allevatrici siete?
“Poche. L’azienda Le Modeste, che prende il nome dalla famiglia di mio padre (Modesti) e che ho declinato al femminile, fa parte della cooperativa di comunità. Ognuna ha la sua piccola azienda a conduzione familiare. Siamo tutte donne”.

Lavorare qua è una scelta o una necessità?
“In realtà è una fortuna. Come ti ho detto, alla fine è il cuore che vince su tutto”.

Qua la filiera non è corta, ma cortissima.
“Vorremmo evitare di portare gli animali fuori da qua. Il ‘buono, pulito e giusto’ di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, lo abbiamo fatto diventare un manifesto da rispettare tutti i giorni”.

Tutto qua viene allevato, macellato e consumato.
“È questo il nostro obiettivo”.

Qual è la tua idea di futuro?
Be’, qua ci sono ragazze giovani che mi danno una certa sicurezza. Penso che loro, che hanno vent’anni meno di me, porteranno avanti questo lavoro. Quindi penso che la pecora zerasca non scomparirà così velocemente, anche se questa è una popolazione prevalentemente anziana. In tutto il Comune di Zeri nascono tre bambini ogni venti persone che muoiono. Siamo in ritardo nel rispondere a un futuro futuribile. Chi ferma lo spopolamento? Chi porterà qua i giovani? Chi alleverà e chi combatterà per questa pecora? Ecco, sono queste le domande che mi faccio”.

Perché parli di “combattimento”?
“Perché c’è davvero da combattere. A cominciare dai predatori. Molti allevatori rinunciano alla zerasca perché non è una pecora da stalla, è più abituata allo stato semibrado. Ma ci sono i lupi, che si sono perfino adattati. Ha capito che di notte le pecore vanno nella stalla, e così caccia di giorno”.

Tutto questo ha un costo troppo alto?
“Sì, in termine di tempo e di denaro. Gli oltre sessanta animali che sono dentro la stalla li ho salvati con una camionata di erba medica e fieno coltivato. Ce l’ho fatta, li ho salvati, ma so che in stalla non stanno bene. Un altro allevatore li avrebbe mandati al macello. Di fatto ho lavorato per dar da mangiare alle pecore”.

Press tour in Lunigiana, pecore zerasche – © Gianluca Testa
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