Storie /Le parole del "capitano"

Lancers, 40 anni di baseball. Ecco la “magia” di uno sport bellissimo (ma poco popolare)

Un nuovo logo, la presentazione di un libro e una (bella) conversazione col capitano dei Lancers, Antonio Parrini. Le celebrazioni dei primi 40 anni del baseball a Lastra a Signa iniziano proprio da qui

Tutto ha avuto iniziato con la passione smisurata di un insegnante e la trasformazione di un campo da calcio in “diamante”. No, non dobbiamo immaginare esattamente la pietra preziosa, bensì la sua forma. Perché è a quella che assomiglia un campo da baseball. Questo sport ha origini antiche (almeno un paio di secoli, se pensiamo agli Stati Uniti) che secondo alcune fonti potrebbero essere perfino antichissime (c’è traccia di un suo lontano antenato risalente addirittura agli inizi dell’anno mille). Quel che è certo, però, è che a Lastra a Signa il baseball ha cominciato a diffondersi a partire dagli ottanta del secolo scorso e che oggi la squadra dei Lancers Baseball Club (che perfino nel nome portano la data di fondazione, ovvero il 1982) compie la bellezza di quarant’anni.

Sappiamo bene che questo sport non è affatto “minore”. È soltanto – si fa per dire – meno popolare del calcio, del basket o del ciclismo. Poi spesso capita che alcune discipline raccolgano una temporanea celebrità che di solito nasce a seguito di grandi prestazioni. Basta pensare all’atletica, alle medaglie d’oro di Jacobs e Tamberi, alla – forse fugace – popolarità che ne è seguita. Eppure il basball, proprio come l’atletica e ogni altro tipo di sport, non solo è capace di generare straordinarie emozioni ma ha bisogno anche di cura, passione, attenzione e dedizione.

Lancers Baseball Club 1982

Il merito di quanto è successo a Lastra a Signa è anche e soprattutto di Paolo Moretti. Fu lui quell’insegnante illuminato che ha coinvolto molti giovani in questo sport, ed è sempre lui che oggi prosegue in questo percorso di appassionata coerenza ricoprendo il ruolo di presidente dei Lancers. “Una persona straordinaria che ha seminato questa passione nel tempo” ci dice Gianni Taccetti, che con la sezione Nesti Pandolfini dell’Unione veterani dello sport (Unvs) ha partecipato all’organizzazione della presentazione del libro “Mi chiamavano Maesutori” scritto a quattro mani dall’ex campione Alessandro Meastri e da Elio (sì, quello delle storie tese, al secolo Stefano Balisari) sulla loro esperienza sportiva in Giappone. La presentazione, la prima in Toscana, è in programma sabato 5 marzo nella sala del consiglio del Comune di Lastra a Signa (ore 11). Tra i presenti, oltre agli autori, anche la presidente della Fibs Toscana, Simona Nava. “Sì, la presidente della federazione regionale di baseball è una donna” prosegue Taccetti. “Un fatto per nulla scontato che la dice lunga su quanto abbia da insegnare questo sport”.

Nell’occasione sarà presentato anche il logo celebrativo per i primi 40 anni dei Lancers. Un evento che di fatto darà il via ad altri eventi che troveranno spazio nel corso dell’anno. È anche per questo che abbiamo incontrato il capitano della squadra, Antonio Parrini, giunto ormai alla sua ventiduesima stagione. Perché vorremmo saperne di più. Sul baseball, certo, ma anche su di lui.

Lancers Baseball Club 1982

Antonio, stai tornando dal lavoro o dall’allenamento?

“Sarebbe molto bello se le due cose fossero unite”.

Cioè?

“Tornando dall’allenamento mi piacerebbe dire che sto tornando dal lavoro. Purtroppo non è così”.

I Lancers sono in serie B, la scorsa stagione eravate in A. Eppure stiamo parlando di una società dilettantistica. Com’è possibile che giocando ai massimi livelli non siate considerati professionisti?

“È la realtà del baseball e di molti altri sport in Italia. Prima o poi spero arriveremo a questo tipo di riconoscimento, la strada è ancora lunga. Ci sono società che hanno giocatori professionisti, ma sono casi rarissimi. Quasi tutti i giocatori sono lavoratori o studenti”.

Immaginiamo che questo mancato riconoscimento si faccia sentire anche sul piano dei costi. Quanto incidono le trasferte sui bilanci?

“Molto. La Federazione cerca di comporre i gironi rispettando criteri di vicinanza, ma le squadre non sono moltissime e a volte capita di fare anche 400 chilometri, o dover andare in Sicilia o in Sardegna”.

Com’è nato il tuo amore per il baseball?

“Hai usato la parola giusta. Nel mio caso si parla proprio d’amore. Per me è una passione vera. Per giocare facciamo tanti sacrifici, che però non rappresentano un limite”.

D’accordo, ma parlaci di te. Quando hai iniziato?

“A dodici anni. Merito dell’attuale presidente del Lancers, Paolo Moretti, che al tempo era professore di ginnastica, anche se oggi si direbbe educazione fisica o scienze motorie. Ricordo che ci faceva giocare a baseball già a partire dalla prima media”.

Quali furono le tue prime reazioni?

“Spiazzanti. C’è voluto un po’ di tempo per entrare nelle logiche del gioco. Se sono ancora qua dopo tanti anni è proprio perché il baseball è uno sport che ha questa cosa… magica“.

Qual è la magia?

“Difficilmente si conosce a fondo, c’è sempre qualcosa da scoprire. Se oggi dovessi smettere di giocare vivrei col rammarico di non aver appreso tutto quello che c’era da sapere”.

Cosa t’incuriosisce di più?

“La parte tecnica, che è molto affascinante. Il baseball ha poche regole ma tantissime varianti. È ciò che lo rende attraente, anche se a volta è difficile seguirlo da spettatore”.

Eppure nei film americani c’è sempre di mezzo il baseball…

“Perché si presta bene, ci sono tempi dilatati ed è più compatibile con la narrazione cinematografica. Inoltre è ricco di storie e riferimenti capaci di creare straordinarie suggestioni”.

Hai una squadra del cuore? Al di là dei Lancers, ovviamente…

“Senza dubbio Red Sox di Boston. Mi sono innamorato nell’anno in cui hanno rotto la ‘maledizione del bambino’ durata ben ottantasei anni”.

Di cosa si tratta?

“Dopo la cessione di Babe Ruth, soprannominato il ‘bambino’, seguì un’infinita striscia di insuccessi, a volte rocamboleschi. Temo di essere affascinato dai perdenti…”.

Lancers Baseball Club 1982

Giochi da più di vent’anni. Qual è stata l’emozione più grande?

“L’esordio in massima serie. È arrivato tardi, la scorsa stagione, a 34 anni. È stato un esordio emozionante, forse anche troppo. Quell’emozione l’abbiamo perfino subita (e pagata)”.

Il momento più bello?

“La promozione dalla B all’A2 con i Lancers. Eravamo un gruppo unito, in quella stagione non ce n’è stato per nessuno”.

Cosa significa essere capitano di una squadra di baseball?

“È un ruolo impegnativo e stimolante. Agli altri devi dare sempre qualcosa in più. È coinvolto ogni aspetto. Tutto conta: come ci si comporta, come ci veste, come ci si relaziona con gli altri…”.

Cosa diresti a un bambino per convincerlo a giocare a baseball?

“Gli racconterei la bellezza di questo sport, che mette in gioco sia la condizione fisica sia quella mentale. Le partite durano tanto, occorre mantenere la concentrazione a lungo. Ma soprattutto gli direi che qua dentro si cresce. C’è una competizione sana, si creano relazioni. Con molti dei miei avversari, ad esempio, sono diventato amico. Sono nate nuove relazioni. Poi, com’è ovvio che sia, ci si diverte anche”.

Per celebrare i primi 40 anni i Lancers hanno un nuovo logo che sintetizza il Portone di Baccio, principale accesso al borgo antico di Lastra.

“Essendo un grafico ho contribuito alla sua realizzazione. L’ho associato a una frase”.

Quale?

“Questa: il futuro è una porta, il passato ne è la chiave. È un po’ anche la nostra filosofia”.

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