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Gessi rossi, la relazione dell’Arpat scongiura l’inquinamento ambientale

Avanti il dialogo con le aziende per ridurre la produzione dei gessi rossi, tutelando gli oltre mille lavoratori dell’indotto e salvaguardando l’ambiente

Mi sento rassicurata dagli esiti di questa relazione” secondo cui “non c’è l’inquinamento di falda del quale abbiamo letto sulla stampa”, così è intervenuta Monia Monni, assessora all’ambiente della Regione Toscana, in occasione della presentazione della relazione prodotta da Arpat sulle attività di gestione dei gessi rossi prodotti a Scarlino (Grosseto), e conferiti in cava. I risultati dello studio condotto dall’Agenzia regionale vanno così a rivedere e ribaltare le conclusioni della commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie che invece confermava la contaminazione delle acque sotterranee.

Nello specifico, secondo la relazione sul caso approvata nel marzo scorso dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie, il rilascio nei terreni da parte dei gessi rossi di solfati, cloruri, manganese, nichel, cromo e ferro, avrebbe portato nel tempo alla contaminazione delle acque sotterranee alla cava esaurita di Poggio Speranzona a Montioni, frazione del comune di Follonica. Qui infatti dal 2004 sono state conferite oltre 3 milioni di tonnellate di gessi ottenuti unendo i fanghi rossi scarto di produzione del biossido di titanio con la marmettola, scarto di lavorazione del marmo di Carrara.

La relazione di Arpat, che aggrega e analizza 15 anni di monitoraggio, va invece a dimostrare che non c’è correlazione tra i gessi e le acque sotterranee termali. Arpat ha infatti tenuto conto di tre elementi: il sito in cui vengono conferiti i gessi rossi, le caratteristiche dei gessi e i dati di monitoraggio raccolti periodicamente dai pozzi. Dalla relazione emerge chiaramente che dagli scarti collocati nell’ex cava non sono derivati problemi ambientali. “Questo ci rassicura – prosegue l’assessora. – Ma ci dice anche che questi scarti non possono essere collocati in qualunque luogo e che occorrono valutazioni sito-specifiche molto puntuali. Fino ad oggi i problemi sorti nelle varie conferenze dei servizi erano soprattutto di tipo paesaggistico e naturalistico. Il confronto sulle modalità di smaltimento dei gessi è costante con le aziende del territorio, non possiamo pensare di autorizzare nuove discariche”.

Durante la presentazione della relazione, il direttore di Arpat Marcello Mossa Verre ha spiegato chiaramente che “i punti fondamentali della relazione riguardano l’iter tecnico-amministrativo che ha condotto ad autorizzare l’utilizzo dei gessi rossi per ripristinare il sito di Poggio Speranzona e la ‘particolare sito- specificità dell’area’”. Sul primo punto ha spiegato che “le autorizzazioni concesse a partire dal 2004 per il riutilizzo dei gessi per il ripristino ambientale dell’ex cava, fino all’ultima, quella del 2017, sono state sempre rilasciate non, come sarebbe stato possibile, secondo la cosiddetta ‘procedura semplificata’, ma seguendo quella ordinaria prevista dal decreto Ronchi e dal mutato quadro normativo”. Riguardo invece al secondo punto, Mossa Verre ha sottolineato che “come illustrato e attestato da studi e pubblicazioni scientifiche effettuate sull’area, l’idrogeologia e la geochimica dell’area dell’ex cava di Montioni è fortemente influenzata e caratterizzata dai processi geologici che l’hanno interessata in passato e che tuttora la interessano. Collocazione in un’area di anomalia geotermica, varietà di mineralizzazioni presenti, circolazione delle acque presenti, di cui quella più profonda di tipo termale/geotermico: sono gli elementi che ne determinano una complessa geodiversità e singolarità idrogeochimica. Per le rilevazioni che abbiamo condotto in circa 15 anni hanno messo in evidenza la mancata correlazione tra la composizione dell’acqua di falda e le sostanze rilasciate dai gessi rossi. Infine, un eventuale processo di lisciviazione dei ‘gessi rossi’ non trova riscontro nei monitoraggi effettuati in questo periodo di rilevazioni”.

Da qui nasce una nuova esigenza quella di trovare, insieme alle industrie locali, delle soluzioni alternative anche grazie alle innovazioni tecnologiche per ridurre la produzione degli scarti in gessi rossi (per ogni chilogrammo di prodotto ce ne sono sei di scarti, con una produzione di circa 500 mila tonnellate di gessi rossi l’anno), tutelare i lavoratori (500 persone, che diventano oltre mille considerando tutto l’indotto) mettendo al centro la salvaguardia dell’ambiente e delle persone che vivono in questo territorio. Il dialogo con le aziende va avanti: “ci rivedremo a settembre per valutare alcune loro proposte per ridurre questa produzione. Ovviamente in questo ragionamento abbiamo sempre coinvolto e aggiornato i sindaci delle Colline Metallifere” ha concluso l’assessora Monni.

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