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Treno, mon amour. Il futuro è ad idrogeno (ma c’è l’incognita Covid)

Mentre arriviamo alla svolta completamente ad idrogeno, i mezzi di trasporto fanno i conti con la paura del contagio. La nostra storia va di pari passo con quella dei treni, corriamo tuttavia il rischio che spariscano dalle nostre abitudini di viaggio nel post pandemia

“Non c’è un treno che non prenderei, non importa dove sia diretto”

Il 2021 è stato dichiarato anno europeo delle ferrovie per promuovere i treni come mezzo sicuro e sostenibile. Le ferrovie infatti sono responsabili solo dello 0,4% delle emissioni di CO2 nell’Unione europea. E oggi le linee non elettrificate sono solo il 28% del totale, in alcune regioni, come in Sardegna, le linee sono tutte diesel.

Innegabili i passi avanti che il comporto ferroviario ha fatto negli anni puntando su uno sviluppo sempre più green, sempre più sicuro, sempre più attento all’esperienza di viaggio. Anche il Recovery Plan darà nuove occasioni di rilancio, soprattutto per un futuro dove i treni potranno essere completamente ad idrogeno. Come annunciato durante il convegno dedicato alle ferrovie minori e organizzato dall’Università di Siena, nel 2023 è stata annunciata la creazione della prima Hydrogen Valley, dove saranno prodotti convogli per viaggi a zero impatto ambientale.

Questo è il futuro. Un futuro che stiamo scrivendo in un presente difficile per i mezzi di trasporto. Non servono statistiche per affermare che la fiducia generale a viaggiare su un mezzo pubblico oggi è nettamente calata. La pandemia ha impattato notevolmente sulle nostre abitudini di spostamento e se eravamo riusciti a rimettere il treno al centro della mobilità quotidiana, grazie agli investimenti sui mezzi, sul materiale rotabile, ad una visione integrata bus-treno-bici, al punto da sperare in un definitivo cambio di mentalità del cittadino finalmente propenso a rinunciare al mezzo privato per un sistema di mobilità più sostenibile per la collettività, il rischio oggi è che il lavoro fatto sia anch’esso stato infettato da un virus che ci rende insicuri nel condividere lo spazio di una locomotiva con sconosciuti

È un problema che non riguarda solo i mezzi pubblici, ma anche i mezzi pubblici.

Il problema è che, direbbe qualche addetto ai lavori, un Paese che non investe nella mobilità collettiva (perché magari non gli è più conveniente) o un Paese che investe ma senza risposta dalla collettività, è un Paese un po’ meno democratico. Sia nel senso di egualitario, sia perché il treno ha accompagnato ogni momento storico della nascita della democrazia.

Recente o lontana, la nostra storia è fatta anche di treni, la storia dei singoli, e la Storia di tutti.

Il treno ritorna in alcuni dei momenti più bui e significativi del Novecento, la strage del 2 agosto 1980, l’attentato dell’Italicus. Il treno però è stato anche al centro di momenti di grande progresso del Paese, si pensi a quel progetto che la FIAT completò all’inizio del 1969 e che il mondo conobbe con il nome di “Pendolino”. In Toscana, a Montarioso, sul finire degli anni Quaranta era in corso d’opera il tunnel ferroviario più lungo d’Italia con i suoi 1516 metri d’estensione. E poi ci sono i treni d’epoca con quelle livree che sembrano libri di storia. Il nostro attaccamento ai treni è così forte che abbiamo deciso di recuperare le vecchie linee minori dando loro nuova vita grazie ai treni storici, volano per un turismo più sostenibile. Qui in Toscana il Treno Natura richiama amanti e appassionati da ogni parte d’Italia e anche da fuori Italia. Il Covid ha ridotto sensibilmente i viaggi ma è pronto a ripartire, alla scoperta di luoghi e tesori della nostra toscana.

Pensare al treno è tutto questo, è un viaggio senza tempo. Sono luoghi del cuore, accolgono e lasciano andare. Luoghi di abbracci, di pensieri, di letture e di ricordi. Speriamo che il Covid, tra le varie abitudini che ci ha tolto, non ci abitui anche a fare a meno dei treni, “luoghi perfetti per gli addii”.

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