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“Breakfast on Tour” di Giacomo Alberto Vieri: il giro del mondo a colazione

Il giornalista fiorentino ci accompagna in un viaggio emozionante attraverso i piatti e le storie di persone che hanno deciso per tanti motivi diversi di vivere a Firenze

Breakfast on Tour

Una domenica mattina del 2016 Giacomo si sveglia, è tornato a Firenze da poco tempo dopo anni passati all’estero tra Londra, Madrid, Ibiza e tanti altri luoghi. Alle spalle c’è una vita che gli ha regalato grandi emozioni e forse anche qualche dolore, anche per questo ha deciso di tornare a Firenze senza sapere bene neanche perchè. Si trova “a casa” ma si sente perso, si sente “straniero” in una città che non riconosce più come sua e che forse lo è neanche mai stata. Si alza, non ha caffè o latte per fare colazione. Così decide di bussare alla porta di un vicino. Quel vicino è una splendida signora etiope dagli occhi vivaci che lo accoglie, gli prepara la colazione e lo ascolta. Questo è quello che gli esseri umani fanno quando si ricordano di essere tali, offrono un posto a tavola a uno straniero o straniera e ascoltano i suoi guai, le sue avventure, per piangere e ridere insieme. Tutto questo si definisce empatia, il rispecchiarsi nelle storie degli altri, il fare propri i problemi e le gioie di chi ci sta davanti, un sentimento raro come l’acqua nel Sahara.

Da questa prima conoscenza nasce l’idea per “Breakfast on Tour” una rubrica che Giacomo Alberto Vieri tiene su Repubblica Firenze per vari anni e che adesso diventa un libro con le illustrazioni di Elisa Puglielli pubblicato da Edizioni Clichy. Un libro di storie, risate e ricette dalla tortilla spagnola alla pogaca turca, in cui tra un caffè e un lassi le persone raccontano cosa le ha portate a Firenze amore, lavoro, ma a volte anche la fuga dalla guerra. Una mappa di “forestieri amici” così li definisce il giornalista.

Giacomo Alberto Vieri oltre a Breakfast on Tour per Repubblica Firenze ha curato anche il blog Generazione di fenomeni, lavora attualmente per Lungarno e Novaradio e collabora da freelance anche per Il Manifesto e Left. 

Ecco la nostra intervista

Ciao Giacomo! Come è nata l’idea di Breakfast on Tour?

Nacque una mattina in cui mandai una mail a tutti i giornali di Firenze per proporre il progetto. Volevo provare andare a casa di persone straniere per colazione, raccogliere le loro storie e poi scriverle e fare un rubrica. Mi risposero tre gatti e uno di questi tre era Laura Montanari di Repubblica. Lei fu talmente propositiva che mi presentai al direttore e dopo una settimana mandai una prova e così iniziarono a farmi scrivere.

Queste persone a cui ti sei “auto-invitato” a colazione come le hai trovate?

La prima era una ragazza argentina che al tempo lavorava con me in uno studio di architettura. Le dissi ‘per favore Gisella facciamo una prova’, ora lei è tornata a vivere al suo paese. Da lì chiedevo a tutti se avevano amici stranieri che vivevano a Firenze, tipo telefono senza fili e tutti iniziarono a linkarmi altre persone. Pian piano sono andato da uno all’altro. Erano anche persone che conoscevo, io ho sempre bazzicato ambienti multiculturali, ho lavorato anche al festival di cinema del Medio Oriente Middle East.

Co’è qualcosa che ti ha stupito? Un filo rosso che lega tutte le storie?

Arrivavo sempre con l’idea che mi avrebbero raccontato storie di dolore e di sofferenza, in realtà mi trovavo davanti persone piene di una speranza allucinante, felici di essere state accolte qua, felici di raccontare la loro storia e felici anche di vivere qua. Era una cosa super strana per me perchè devo ammettere che ho iniziato questo progetto perchè ero io il primo ad essere insoddisfatto a stare qui. Ero tornato in Italia da Londra dopo tanto tempo. Quando tornai non sapevo neanche se avrei vissuto a Firenze perchè io sono nato qui ma ho sempre vissuto a Pistoia. Firenze per me era una scommessa non conoscevo nessuno. Così tornai qua e ero il primo ad essere insoddisfatto, non sapevo se avevo fatto la scelta giusta perchè le opportunità lavorative mi sembravano davvero molto scarse. Fondamentalmente cercavo persone che la pensassero come me, invece in realtà mi sono trovato davanti persone che mi hanno fatto rivalutare Firenze. Me l’hanno fatta prendere veramente bene. Quando si è deciso di fare il libro dopo quattro anni ho fatto un giro di telefonate a tutti per sentire cosa fanno oggi. E la cosa bella è che il libro raccoglie la ricetta, l’intervista di allora e poi c’è un follow up al 2020 in cui si racconta cosa è successo nel frattempo. Per me è stato davvero emozionante scoprire poi com’è andata avanti la storia. Tanti non sono più in Italia, alcuni hanno scelto altri paesi, altri sono rimasti, ognuno ha preso la sua strada.

Parlando delle ricette c’è qualcosa che non sei riuscito a mangiare?

Piuttosto è il contrario, io andavo via da ogni colazione con le schiscette, c’era da mangiare per tutta la redazione. Mi portavo via proprio delle sacchettate di cibo. Gli ospiti preparavano una quantità di piatti indescrivibile, io non riuscivo a mangiare tutto. Mi hanno sempre dato tutto da portare a casa.

Hai capito quali sono i motivi principali per cui le persone hanno scelto di vivere a Firenze?

Alcuni per studio, molti ragazzi giovani che facevano qua l’Accademia di belle Arti o l’Erasmus. Le persone più adulte sono venute per amore perchè avevano trovato marito o moglie a Firenze. Poi c’erano altri casi per esempio due sorelle siriane che sono venute in Italia dalla Siria. Ma soprattutto per amore e lavoro.

C’è una storia che ti ha colpito più delle altre?

Una famiglia marocchina che viveva a Sesto Fiorentino. Jasmin e Rashid che hanno due figli che a quei tempi avevano 10 e 12 anni. Io lo ricordo come un momento bellissimo perchè entrai a casa loro e stetti con loro un intero pomeriggio. Lui faceva tantissimi lavori, lottava per l’integrazione, voleva sentirsi italiano. Quando poi li ho ricontattati ho scoperto che si sono trasferiti tutti e quattro dopo il primo lockdown a Manchester perchè uno dei due figli che ora ha 18 anni aveva il sogno di vivere in Inghilterra. Si sono trasferiti con un coraggio incredibile senza conoscere una parola di inglese. Quando ho sentito il padre al telefono mi ha detto: “Io ho sempre fatto tutto per i miei figli, gli voglio dare un’opportunità lavorativa. In Italia ora non è il momento giusto.” Pensare a questa famiglia che ha fatto tutto questo insieme per me è una cosa bellissima.

Progetti per il futuro?

Ho un’idea, vorrei investire i soldi che guadagnerò dalla vendita del libro per lavorare a percorsi integrativi per gli adolescenti delle seconde generazioni. Rimetto tutto in circolo.

Giacomo Alberto Vieri
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