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© Gianluca Testa

Ambiente /legalità

Suvignano, dove anche le cicale cantano per la legalità

Prima del sequestro disposto da Giovanni Falcone, quel paesaggio da cartolina della campagna senese è stato per lunghi anni sporcato dalle mafie. Ora Suvignano è una “tenuta aperta”: agricoltura biologica, allevamento, ospitalità e un nuovo percorso della legalità

Se ci chiedessero qual è l’elemento che più ci ha colpito nella visita a Suvignano, forse la prima e più istintiva risposta sarebbe questa: il suono delle cicale. Ci hanno accolto come un’orchestra diretta da quel grande maestro che è la Natura. Sì, quella natura scritta con l’iniziale maiuscola, come fosse un nome proprio. Perché è la natura, con o senza maiuscola, a regalare scorci ed emozioni nuove. È la natura che, insieme alla storia, fa di un luogo un luogo speciale. E poi – cosa assai poco scontata – oltre alle cicale c’erano campi sterminati di girasoli e così tante balle cilindriche di fieno da non poterle contare tutte.

Paesaggi da cartolina

Arrivando dal nord della Toscana, una volta superata Siena, è questo lo spettacolo estivo che ci attende. Cicale, girasoli, rotoballe. E poi coltivazioni, vigneti, borghi medioevali con le loro roccaforti e un ordine generale dell’urbanistica delle aree agricole che non ha simili altrove. Se davvero esistesse una corrispondenza reale e definitiva dell’espressione “paesaggio da cartolina”, siamo quasi certi che troverebbe concretezza in queste terre così ben curate.

Il primo sequestro

Eppure tra colline e saliscendi, in questo spazio che sembra storicamente condannato alla bellezza, la mafia aveva messo le mani. Una storia antica e contemporanea, che ha origini lontane – ma non così tanto – e che i tempi giudiziari e la burocrazia hanno rischiato di confinare nell’oblio. Ma così non è stato. Non stavolta, almeno. Il primo sequestro della tenuta di Suvignano, il bene più grande sottratto alla mafia in tutto il centro-nord, risale addirittura al 1983 e fu disposto da Giovanni Falcone. I 713 ettari di terreno e i 21mila metri quadrati d’immobili appartenevano all’imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, poi definitivamente condannato nel 2007.

La festa della legalità

La prima volta che abbiamo imboccato la via che da Monteroni d’Arbia porta su fino a Suvignano era il giugno 2019. Lo stesso anno in cui la Regione Toscana è stata individuata come destinataria della tenuta confiscata. Pochi mesi dopo la tenuta apriva virtualmente le sue porte ai cittadini. Un giorno di festa con musica, cibo e parole. A battere forte sono state soprattutto le testimonianze di chi ha fatto della lotta alla mafia una ragione di vita. Tra loro anche Antonino De Masi, l’imprenditore calabrese che ha detto no al pizzo e che da anni vive sotto scorta. “Il mio primo valore? La libertà. Purtroppo l’ho persa. Ma sono convinto di una cosa: quello che sto facendo serve a qualcosa”, ci disse Antonino. Con lui anche la giornalista di Repubblica Federica Angeli, sotto scorta dal 2013 per le sue inchieste sulla mafia a Ostia. Il suo libro, A mano disarmata, è diventato un film in cui il suo ruolo è stato interpretato da Claudia Gerini. “Per potersi costruire gli anticorpi – ci disse Federica – le persone devono conoscere”.

Un anno dopo

E infatti la conoscenza è tutto, così come la consapevolezza. Il percorso verso la legalità non è una strada asfaltata, ma un cammino insidioso e ricco di ostacoli. Un percorso faticoso, spesso in salita. Ma così come accade per ogni grande conquista, anche qua occorrono impegno, costanza, dedizione. Ogni sentiero che conduce alla vetta richiede prima di tutto volontà e consapevolezza dei propri limiti e dei propri mezzi. Similitudini forse inopportune, ma che trovano corrispondenza in una politica che ha saputo individuare la vulnerabilità di un sistema e di conseguenza ha cercato di porre rimedio. E così, un anno dopo quel primo giorno di festa, Suvignano ha riaperto le sue porte per un nuovo evento. Nel frattempo l’Italia – e con lei molti altri paesi – si sono fermati a causa dell’emergenza sanitaria e tutto è stato messo in discussione. Una fragilità che le nuove mafie hanno cercato di sfruttare e sui cui le istituzioni hanno invece concentrato la vigilanza e il controllo. In un contesto inedito, con il pubblico contingentato per un evento contraddistinto dalle sedie distanziate almeno un metro l’una dall’altra, la Regione Toscana non ha rinunciato all’organizzazione di un appuntamento destinato a ripetersi ogni anno, un anno dopo l’altro.

Il percorso della legalità

Stavolta, all’arrivo, c’è una nuova insegna su cui si legge “Suvignano, tenuta aperta”. Un nome dal duplice significato. Perché aperta a tutti i cittadini la tenuta lo è davvero. Ma oltre ad esser aperta è anche libera dalle mafie. Prima liberata e ora libera, questa vasta area della campagna senese che si perde a vista d’occhio fino al castello di Murlo è lo spazio ideale in cui riflettere e far mente locale. È questo il luogo in cui ogni anno, di qui in avanti, si tireranno le somme sulle politiche per la legalità. L‘inaugurazione del nuovo percorso della legalità – un’ora di cammino scandito dalla presenza di pannelli descrittivi, bilingue e in braille) – suona come un pretesto per ritrovarsi, per unire la comunità in una battaglia di civiltà, per far sentire tutti partecipi allo stesso modo e per ricordare che neppure la pandemia ha rallentato il percorso e che esistono strumenti per vigilare sugli appalti e che i dipendenti pubblici, in Toscana, vengono formati affinché siano antenne e sentinelle.

Verso l’autonomia produttiva

Una volta c’era la lupara, oggi ci sono gli strumenti tecnologici. Non solo la mafia è ovunque – è sufficiente leggere il rapporto annuale sulle mafie in Toscana realizzato dalla Normale di Pisa – ma si è fatta ancor più scaltra. Anche in questo ambito la Toscana rappresenta un modello per gli altri governi regionali. A cominciare dall’osservatorio sugli appalti, che anche altre Regioni stanno studiano e adottando per tracciare tutti i percorsi di assegnazione dei lavori pubblici, dalla gara d’appalto fino alla chiusura dei cantieri. Ed è facendo propri i principi di legalità, partecipazione e trasparenza che nella tenuta di Suvignano – che potrebbe essere presto inclusa nella via Francigena con una variante che ha origini storiche, già a partire dal XII secolo – si sta strutturando l’attività agricola biologica e l’allevamento di bestiame, ovviamente nel rispetto della tradizione di queste terre. La gestione della tenuta è affidata a Ente Terre Regionali Toscane, che dopo aver provveduto alla messa in sicurezza degli edifici più a rischio ha realizzato il progetto (già approvato) che prevede la realizzazione di un ostello da trenta posti destinato sia ai pellegrini sia ai giovani che parteciperanno ai campi della legalità. A proposito di ristrutturazioni: la prima inaugurazione, avvenuta poco prima del lockdown, riguarda proprio la villa in cui soggiornava Piazza. Lì è stata realizzata la una sala polifunzionale che, neanche a dirlo, è stata battezzata col nome del giudice che ha liberato Suvignano. Quindi il prossimo appuntamento sarà proprio qua, nella sala Giovanni Falcone. Per non dimenticare.

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