Enogastronomia /

Volterra, storie di boschi, ‘spiriti’ e di gin

Una riserva naturale, una distilleria granducale, una storia dell’Ottocento che è tornata a vivere grazie a Bruno Signorini, un moderno ‘mercante di spirito’

Ci sono persone nella vita che ti insegnano a guardare oltre ciò che riesci a vedere. E’ un esercizio faticoso ma ne vale la pena. Merita sforzare la vista, allungare il campo visivo, andare oltre, allargare i recinti della mente con sana curiosità.
Per chi ha visitato almeno una volta Volterra si ricorderà principalmente due, tre cose. Una di queste è l’alabastro, spesso inteso meramente come produzione artigianale. Guai a pensarla così o a percepire l’alabastro solo come mero esercizio di stile artistico. Volterra tirerebbe fuori i suoi tremila anni di storia per raccontarti ben altro sul suo prodotto principe. Le botteghe degli alabastrai, fieri antifascisti erano scuole di vita, dove si respiravano polvere e valori, ci si nutriva di sentimento per la città, si formavano pensieri e cultura.
Me lo racconta Bruno Signorini in una calda giornata d’agosto di fronte ad un caffè, fuori dal suo locale ‘sperimentale’ La Vena di Vino’, nel centro storico. Lui si definisce – insieme al socio Lucio Calistri –  ‘un mercante di spirito’  che proprio sugli “Spiriti del bosco” di Volterra (nella Riserva di Berignone) ci ha addirittura scritto un libro, insieme a Duccio Benvenuti. C’è da sapere che un tempo la città stato della Toscana era esportatrice di spezie (tra cui il ginepro che cresce spontaneo, con una commercializzazione pari a quella di paglia e marmo) e di gin.

Bruno mi spiega infatti che ha scoperto questa storia ritrovando un vecchio catalogo dell’Esposizione Universale di Londra del 1862 nella quale si presentava il gin di Volterra, così fedelmente riportato: ‘Mr. Marchi, L.Royal Estate of S. Lorenzo Volterra presents Gin and spirits of the arbustus’. 

Dunque in Toscana, terra di vino e di olio, si inserisce anche il gin. A dire il vero il primo a credere in questo tipo di produzione fu il Granduca di Toscana  che nel 1853 dette vita al Podere Caprareccia ad una distilleria. Oggi è Bruno a distanza di decenni a riprendere in mano quell’antica tradizione e produrre gin, oltre a oltre bitter e ponce.

Signorini mi dice poi che il raccolto di quest’anno del bosco di Berignone sarà portato per la prima volta in distilleria, dove già produce il suo gin . “Collaboriamo con la distilleria Deta di Barberino Val d’Elsa, la produzione prossima arriverà dunque dalle nostre aree protette. Però la nostra filosofia è quella di allargare anche ad altre specie di botanica e di spezie anche non per forza del territorio, l’intento è quello di favorire lo scambio di culture, un po’ come facevano nell’Ottocento esportando il nostro ginepro in Inghilterra’”

Poi mi chiede se voglio vedere la distilleria e le vasche dove – si pensa – venisse tenuto il ginepro in infusione a freddo. Da Volterra sono circa 40 minuti di auto per arrivare alla Riserva di Berignone, 40 minuti di curve morbide e accoglienti come seni materni, strade bianche e polverose che portano con sé il fascino del tempo antico, balze e poi macchia verde petrolio che spinge nel profondo la prospettiva.

Entriamo nel bosco, percorriamo una lunga strada. Poi si apre un’ariosa distesa di verde. Ecco la distilleria. Un grande edificio di campagna in pietra, appoggiato in cima alla collina che si offre ad un paesaggio infinito, di quelli che fai fatica a tenerlo tutto in uno sguardo solo.

Bruno continua a raccontare. E’ un vulcano di parole e aneddoti mentre mi parla del suo sogno: far tornare attiva la distilleria granducale nella riserva di proprietà pubblica. Lui lancia l’idea, il seme. Non si tratta solo di produrre gin, il progetto è molto più ampio e non solo aziendale ma profondamente culturale e sociale.

“Il nostro progetto mette insieme cultura e storia, cercando di attualizzarla e renderla ‘viva’. Il mio obiettivo sarebbe quello di portare nel bosco di Berignone persone, cittadini, viaggiatori ma anche esperti del settore della liquoristica. Partire da un luogo per raccontare una storia. Quella di Volterra, di questa riserva naturale, di botanica. Insomma – continua – vorrei far immergere le persone in questo mondo che va a finire nelle nostre bottiglie di gin. Vorrei portare le persone qui dai luoghi del consumo a toccare con mano la materia prima. Che poi conoscere un prodotto significa anche consumarlo con uno spirito diverso, insomma dentro vorrei metterci anche la cultura del ‘bere consapevolmente’, credo sia importante farlo”.

Si nutre di passato e di presente Bruno, di racconti di pionieri avventurosi, storie leggendarie e ricette medicamentose per il corpo e per l’anima. Il suo progetto degli ’Spiriti del bosco’ cosa vuole diventare? Glielo chiedo a bruciapelo, richiamando in campo gli alabastrai ‘maestri di vita’.

“Sai – mi risponde – noi con  ‘Vena di Vino’ e con l’associazione culturale ‘Le distillerie’ effettuiamo ricerche storiche. Vogliamo che la ricerca e la conoscenza possano regalarci nuovi spunti di visione per l’oggi ma anche per il domani. Vorremmo emulare le gesta dei viaggiatori dell’alabastro ottocenteschi che prendevano i manufatti da Volterra e li facevano conoscere oltre confine. Questo vorremmo: portare in altri paesi i nostri liquori, in un percorso avventuroso che generi dallo scambio tra persone ricchezza culturale. Poi c’è l’economia, certo. Credo che questo progetto possa generare reddito per le nostre terre, per la nostra gente. Dobbiamo tornare a promuovere il bosco che è il nostro mare. Nel bosco ‘peschiamo’ il ginepro e possiamo portarlo in tutto il mondo con lo stesso spirito degli alabastrai, seguirne l’impegno nella società, una ‘scuola’ di vita che vogliamo continuare a portare avanti nell’oggi”.

Storie che tornano alla luce, nuovi cammini. Altro ‘spirito’ che alimenta le menti e il lavoro, non fine a se stesso. Coinvolge una città, una terra, gente di passaggio, gente lontana. Chi vive e chi viaggia. Chi in un bicchiere potrà trovare una storia, un racconto, e una porta aperta sul domani.

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